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Scrolla, Dimentica e Ripeti: La curva infinita del vuoto

Viviamo nell’era del "Scrolla, dimentica e ripeti", un loop infinito che sembra progettato per impedirci di pensare davvero, un ciclo senza fine di contenuti che ci tengono costantemente connessi ma intrappolati in un eterno presente, dove ogni idea è destinata a essere dimenticata o, meglio, sovrascritta subito dopo il successivo swipe. In questo ambiente, riflettere diventa quasi impossibile, un lusso che pochi sembrano potersi permettere.

Il "Scrolla, dimentica e ripeti" è molto più che un'abitudine: è una strategia deliberata, la base stessa di un nuovo modo di consumare, che privilegia emozioni rapide e facilmente manipolabili rispetto alla profondità o alla verità. È il terreno perfetto per alimentare divisioni artificiali, ansie irrazionali e provocazioni superficiali, tutto confezionato in formati accattivanti e pronti per essere consumati distrattamente.

È la ragione per cui conflitto, paura e scorrettezza non sono accidenti, ma ingredienti essenziali di una ricetta pericolosamente efficace che ha preso il sopravvento, trasformando il dibattito pubblico e politico in un reality show cinico, fatto di reazioni immediate e spesso vuote di contenuti.


Quando il nemico fa marketing

Oggi, il conflitto non è più un inconveniente: è un prodotto. Secondo uno studio del Pew Research Center (2014), negli Stati Uniti la polarizzazione politica ha raggiunto livelli mai visti prima. Non c’è più spazio per le sfumature: o sei dentro, o sei contro. Il nemico può essere reale o inventato, l'importante è che ci sia. Perché "niente unisce quanto un nemico comune, anche se è non reale".

Cas Mudde e Cristóbal Rovira Kaltwasser (Populism: A Very Short Introduction, 2017) chiariscono che questa strategia non è casuale. È studiata, calcolata e straordinariamente efficace: dividere significa unire velocemente chi sta dalla tua parte. Ogni “flame” sui social media è quindi il risultato di una narrazione precisa e consapevole, perché in fondo "costruire è lento, polemizzare è virale".


Se pensiamo, non clicchiamo

La paura funziona sempre, perché il cervello umano è programmato per reagire rapidamente al pericolo, anche quando il pericolo è solo una finzione costruita ad arte. Secondo Kim Witte e il suo modello EPPM (1992), i messaggi che evocano ansia bypassano facilmente la ragione, stimolando una risposta immediata, impulsiva e spesso irrazionale.

Nicholas A. Valentino (2011), dell'Università del Michigan, lo ha confermato con evidenze sperimentali: non importa se la minaccia esista davvero, ciò che conta è che sembri urgente. Più siamo spaventati, più siamo predisposti a cliccare, condividere, mobilitarci senza pensare. In breve, "la paura converte. L'informazione, un po’ meno".


Il brand del "senza filtri"

"Essere offensivi? È il nuovo nero." Proprio come quel capo che ritorna ciclicamente di moda, l’offesa calibrata è diventata uno statement, un gesto di stile comunicativo. Non è più devianza: è strategia. In un panorama saturo di voci educate e discorsi moderati, chi rompe lo schema guadagna attenzione, e quindi potere. Il politicamente scorretto non è più un rischio da gestire, ma un asset comunicativo.

Bail e colleghi (2018), nel loro studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, mostrano come l’uso di linguaggi provocatori aumenti la visibilità e rafforzi i legami identitari nei gruppi polarizzati. L’effetto è simile a quello del marketing: più sei divisivo, più sei riconoscibile. E in un’era dove “sembrare” è più importante che “avere qualcosa da dire”, l’offesa diventa la nuova uniforme del potere.

Essere “senza filtri” viene così percepito non come incapacità di moderarsi, ma come prova di autenticità. Una finzione, certo, ma una finzione ben confezionata: "l'importante è sembrare, non essere".


L’algoritmo del vuoto

Siamo dentro una narrazione che ha eliminato la pausa. Dove ogni messaggio è un trigger, ogni parola un’esca, ogni contenuto una miccia. "Scrolla, dimentica e ripeti" non è un errore della modernità: è la sua struttura. Una curva infinita che ci promette tutto, mentre ci restituisce il nulla.

Scegliere di rallentare è l’atto più radicale. Smettere di reagire per cominciare a riflettere. Guardare un contenuto senza lasciarsi guidare dalla sua urgenza prefabbricata. Allenarsi a distinguere tra ciò che vibra perché è autentico, e ciò che rimbomba solo perché è stato progettato per far rumore.

Il nostro compito non è resistere al mondo digitale, ma riconoscerne i codici, sabotarne i riflessi automatici e reimparare la lentezza.

 

Fonti :

  1. Pew Research Center (2014). Political Polarization in the American Public.

    Pew Research Center. Recuperato da: https://www.pewresearch.org/politics/2014/06/12/political-polarization-in-the-american-public

  2. Mudde, C., & Rovira Kaltwasser, C. R. (2017). Populism: A Very Short Introduction. Oxford University Press.

    Scheda editoriale: https://academic.oup.com/book/866

  3. Witte, K. (1992). Putting the Fear Back into Fear Appeals: The Extended Parallel Process Model. Communication Monographs, 59(4), 329–349.

    Abstract su Taylor & Francis: https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/03637759209376276

  4. Valentino, N. A., Banks, A. J., Hutchings, V. L., & Davis, A. K. (2011). Is a Worried Citizen a Good Citizen? Emotions, Political Information Seeking, and Learning via the Internet. Political Psychology, 32(2), 247–273.

    Full text (via ResearchGate): https://www.researchgate.net/publication/227867971

  5. Bail, C. A., Argyle, L. P., Brown, T. W., Bumpus, J. P., Chen, H., Hunzaker, M. F., ... & Volfovsky, A. (2018). Exposure to opposing views on social media can increase political polarization. Proceedings of the National Academy of Sciences, 115(37), 9216–9221.

    PubMed: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30154168

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